Oggi vogliamo andare al cuore di un Nome che fa parte della nostra storia. Il nome è proprio della sancta che oggi la Chiesa e che la nostra famiglia religiosa vuole ricordare: Caecilia.
Prima dei latini, viene usato presso gli etruschi, la cui tradizione popolare, secondo il Dizionario storico ed etimologico dei nomi di persona, lo connette all’aggettivo caecus, cieco. Nel mondo romano questo nome apparteneva a persone di nobile rango: prima ancora della vergine e martire cristiana, della famiglia dei Caecilii, decapitata tra il 220 e il 225 insieme allo sposo Valeriano (che aveva accettato di vivere il matrimonio in castità) e il fratello Tiburzio o, secondo altre versioni, condannata a morire in un bagno di vapore o nell’olio bollente a motivo del suo amore per Cristo, un’altra Cecilia viene nominata da un autore latino (Cicerone) perché figlia del suo grande amico Attico e modello anche lei di virtuosa donna romana.
Numerose fonti rimandano questo nome al termine caecina, termine che riguarda l’impossibilità di vedere, e Dante, nella Commedia, precisamente nel canto 13° dell’Inferno, proprio nei primi versi, cita un luogo situato tra Cécina e Cornéto (tra la Toscana e il Lazio) in riferimento alle cattive condizioni di visibilità nel tempo in cui egli vive. O ancora Manzoni, nel capitolo 34° dei Promessi Sposi racconta l’episodio della piccola Cecilia, «con i capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo … per una festa promessa da tanto tempo», morta a causa della peste: la madre la saluta dicendo «addio Cecilia! Riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri».
Perché tanta insistenza sulla cecità o sulla morte e non sulla gioia della musica e del canto, che sono riferimenti più evidenti per noi, pensando a Santa Cecilia? Perché viene allora ricordata come patrona dei musicisti?
Per effetto di un brano del racconto leggendario del suo martirio in cui si legge che «mentre Cecilia venne condotta a casa con il suo promesso sposo il giorno delle nozze al suono di strumenti musicali (organis cantantibus), nel suo cuore ella non invocava che Dio».
E noi, scrivendo il nostro”vocabolario di santità”, vogliamo trovare un senso per il nome Cecilia. Il verbo «cantare» deriva dal latino cano che, in una delle sue forme verbali suona cécini (evoca il nome Cecilia), che tradotto significa «ho cantato, ho suonato». Così tutte queste donne e bambine di cui abbiamo parlato, hanno cantato il valore di una vita donata. Tuttavia, per la Cecilia che noi ricordiamo il 22 novembre c’è qualcosa in più, un canto ancora più alto! Donando la sua vita, Santa Cecilia canta l’amore, la sua passione per il Gesù, che nel Vangelo offre la sua vita per gli uomini, non vede più il male che è nel cuore umano, ma come tutti i martiri grida «Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno». In fondo, il santo o colui che aspira alla santità è cieco per il mondo! Non guarda le cose come le vedono tutti, ma sotto una luce diversa, sotto una logica diversa, spesso incomprensibile. Sono gli occhi della fede, quegli occhi richiesti a coloro che amano Dio e che in particolare sono chiamati a guidare e consolare le anime.
Santa Cecilia è martire due volte e perciò riceve il premio a doppio titolo: martire nella morte, ma anche martire per la sua vita offerta al Signore.
Vogliamo pregare oggi per quanti possiedono questo nome e per quanti hanno offerto la loro vita al Signore e vivono il loro quotidiano martirio cantando l’Amore.