Ci risiamo: è ancora Avvento. Il calendario liturgico ci offre una manciata di settimane da vivere con speciale intensità, un’occasione per volgere il nostro sguardo al mistero del Natale di Cristo. L’Avvento è un tempo che ci insegna ad aspettare quel Signore che è già venuto, ma che verrà ancora alla fine dei tempi, per consegnare tutta la storia e ogni storia alla misericordia del Padre suo e nostro. È un periodo breve e bello, indispensabile per ricordarci che siamo viandanti in cammino verso la meravigliosa venuta di Dio.
Alzarsi
Chissà quando accadrà che la nostra terra «vivrà tranquilla» (Ger 33,16) e non vi sarà più «angoscia di popoli in ansia» (Lc 21,25), come invece accade oggi, davanti ai nostri occhi increduli e ai nostri cuori appesantiti dalla paura e dalla tristezza? Un giorno, il Maestro ha cercato di preparare i suoi discepoli ad affrontare lo scandalo dell’incarnazione, insegnando loro che la presenza di Dio non è l’eliminazione della morte e della sofferenza dalla storia. Infatti, «gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli saranno sconvolte» (21,25-26). Quante cose, in questi duemila anni, possono essere lette come smentite della venuta del Regno di Dio dentro la storia umana: malattie, uccisioni, cataclismi, guerre, epidemie, regimi, terrorismi. La cronaca dei giorni che viviamo e di quelli che ci attendono è segnata da fatti che potrebbero gettare nel cuore una grande disperazione. Lo sguardo acuto del Signore propone però un inatteso epilogo: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (21,28). Ecco il primo imperativo dell’Avvento: rimettersi in piedi e alzare lo sguardo, recuperare una posizione eretta, lucida, ottimista. Non solo. Poi il Maestro aggiunge: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso» (21,34). Dopo averci ordinato un’impennata di sguardo, l’Avvento vuole metterci anche davanti a noi stessi, costringendoci a misurare quanto colesterolo c’è nel nostro spirito. Nella vita spesso dissipiamo energie correndo dietro a favole, ci ubriachiamo di sogni e di progetti futili, ci affanniamo cercando di dominare tutto e tutti, addomesticando l’impeto della vita anziché accogliendo il suo misterioso e tumultuoso disegno. Ma non si può attendere nessuna novità se il cuore è gonfio e stanco; tutto ci piomba addosso improvvisamente come una scocciatura, se non come una condanna. Spesso siamo troppo presenti, troppo attenti sul momento che viviamo, troppo collegati all’organo delle emozioni e ci dimentichiamo che la vita va affrontata anche in funzione di quello che verrà. Non oggi, ma domani.
Crescere
Come? «Vegliate in ogni momento pregando» (21,36) consiglia Gesù. Se davvero siamo disposti a smettere di fare pericolose scorpacciate di suoni, occasioni e informazioni, possiamo imparare a rimanere svegli. Vegliare significa proprio questo: riconoscere il bene che c’è, intuire quello che siamo chiamati a fare, leggere il tempo come un’occasione sempre utile per «crescere nell’amore» (1Ts 3,12) e «progredire ancor di più» (4,1) nell’avventura della vita. Questa è la fiducia che mai deve crollare dentro di noi. Ma per custodire questa vigilanza bisogna pregare sempre, cioè non stancarsi mai di chiedere aiuto, di riconoscerci deboli di fronte allo sguardo paziente del Signore e alle sue «promesse di bene» (Ger 33,14). Quando siamo intontiti e iperattivi invece perdiamo il senso della realtà, sopravvalutiamo noi e sottovalutiamo gli altri, nervosamente incapaci di accettare né il nostro limite né le condizioni continuamente dettate dalla realtà. Il gesto della preghiera ci rende nuovamente disponibili ad affrontare le cose a partire dalla nostra fragilità e dalla precarietà dell’esistenza umana. Ci dispone alla sicura venuta del Signore nelle pieghe della realtà e nell’orizzonte della vita eterna.
Sfuggire
Perché? «Perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,36). Molte delle cose che ci vengono incontro, pur sembrando belle e desiderabili, non sono affatto buone, almeno per noi. Purtroppo spesso non abbiamo la lucidità di rifiutarle, talmente abituati a coltivare inutili attese, sogni infantili, cose che non avrebbero il diritto di dimorare troppo a lungo nel nostro cuore. E invece sono il nostro inaffidabile timone, che ci porta alla deriva. Altre volte invece ci passano accanto occasioni d’oro, persone e avvenimenti che potrebbero cambiate il colore dei nostri giorni. E non ce ne accorgiamo, perché siamo ricurvi, spenti, a terra. L’Avvento ci invita a rimetterci in piedi, a spalancare le porte del cuore e fuggire da tutto ciò che non ci fa rimanere davanti a Dio. Non davanti all’opinione comune, alle attese che gli altri hanno su di noi. Non davanti alle ferite e agli incubi, ma semplicemente agli occhi di quel Dio che è l’unico vero specchio di ciò che la nostra umanità è chiamata a diventare. Avere la forza di stare in piedi davanti a lui, nella nostra verità, significa accettare la chiamata a una vita piena, riacciuffare il sogno di cose grandi e belle. L’Avvento serve a questo: rimettere i nostri occhi davanti a quelli del Verbo di Dio fatto uomo, per imparare a reggere il suo sguardo. Poveramente, come possiamo. Sinceramente, provando a seguirlo e a inseguire le sue — sicure — promesse di bene. Per noi e per tutti.