Domenica iniziamo l’anno liturgico con il periodo d’avvento, tempo di preparazione al Natale, non per far finta che Gesù nasce ma perché vogliamo ricordarci della venuta di Dio, portarlo nel cuore questo evento e sapere così che non riguarda solo il passato ma che MI riguarda, che riguarda la mia vita oggi, adesso.
Perché il Natale non diventi una festa di compleanno senza invitare il festeggiato, come accade per molti, ci prepariamo in questo tempo a concentrare il nostro sguardo su Colui che viene lasciando lo spazio al primato di Dio. Può esserci utile guardare a un personaggio che nei Vangeli rappresenta quasi l’emblema dell’uomo che attende: Simeone. Guardiamo lui per capire l’avvento, lui che ha atteso tutta la sua vita per cantare quel cantico, tutta una vita per avere tra le braccia il Bambino.
Quest’anno, anno b, la liturgia ci fa meditare sul vangelo di Mc. Chi era Mc? Giovanni Marco era un ragazzino quando è vissuto Gesù, sappiamo che a casa sua si radunava la comunità primitiva. Prima discepolo di Paolo, poi seguace di Pietro.
Il suo vangelo è scritto circa 20 anni dopo la morte e risurrezione di Gesù ed è indirizzato alla comunità di Roma. Si pensa che sia il più antico dei vangeli, il primo, e che Mt e Mc abbiano attinto da Mc e poi ampliato grazie ad altre fonti.
Siamo al cap. 13, il capitolo del discorso escatologico, delle cose ultime, della fine dei tempi. Dal cap. 14 inizierà il racconto della passione. Il brano con cui apriamo l’avvento è dunque la cerniera che congiunge il discorso escatologico con il racconto della passione, morte e risurrezione di Cristo.
In realtà, a ben guardare, Mc 13 ha non poche affinità col racconto della passione.
- In Mc 13 Gesù invita in modo insistente a vegliare nella notte e Mc 14 presenterà invece la notte della passione dove nessuno veglia, se non Gesù e i personaggi chiamati a farlo si addormentano;
- I diversi tempi della notte presentati nel nostro testo corrispondono esattamente al tempo con cui è scandita la notte della passione:
sera: arresto
mezzanotte: tradimento di Giuda
canto del gallo: rinnegamento di Pietro
mattino: condanna
- Per ben 3 volte in soli 5 versetti è presente l’imperativo: “vegliate!” come ben tre volte Pietro rinnegherà il Signore, si addormenterà;
- La liturgia è maestra e se per introdurci all’attesa del Dio bambino ci propone un passo che nel Vangelo introduce il racconto della passione possiamo pensare che il mistero dell’incarnazione sia qualcosa di estremamente serio, non meno tragico della condanna a morte di Cristo.
Molti dipinti presentano infatti Maria che avvolge in fasce il bambino come si avvolgevano i morti e lo depone, non in una mangiatoia ma in una tomba. Perché? L’umiliazione di Dio e la sua passione culminano infatti nella passione e morte ma iniziano già nella sua incarnazione. C’erano molte meno luci e nessun dolce da consumare per la sacra famiglia la notte di Natale impegnata com’era a lottare per la sopravvivenza del bambino minacciata ancora prima della sua nascita.
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Leggiamo il testo:
33 Guardate, vigilate!
Infatti non sapete
Quando è il momento.
34 Come un uomo in viaggio,
lasciata la sua casa
e dato il potere ai suoi schiavi,
a ciascuno il proprio lavoro,
e ordinò al portinaio di vegliare.
35 Vegliate dunque:
non sapete infatti
quando viene
il signore della casa
se di sera,
o a mezzanotte,
o al canto del gallo,
o all’alba.
36 Che arrivando all’ improvviso
Non vi trovi a dormire.
37 Ora, quel che dico a voi,
lo dico a tutti: Vegliate!
Il brano di Mc presenta un invito a vegliare e un potere che il padrone lascia ai servi, il suo stesso potere sulla casa. Siamo responsabili di fare e dire quanto lui ha avuto il potere di fare e di dire fino al suo ritorno.
Guardate, vigilate: due verbi accostati l’uno all’altro che fanno della vigilanza l’occhio del cuore aperto sul Signore per vederlo mentre viene. Vegliare è, come le sentinelle, guardare l’orizzonte nell’attesa dell’amato. L’invito quasi angosciante di vegliare in realtà ci rincuora perché il padrone, l’amato viene, ci da fiducia, ci lascia la sua casa, ci fa esercitare il suo stesso potere.
non sapete quando è il momento: alle prime comunità cristiane che si chiedevano quale fosse il momento in cui il Signore si sarebbe di nuovo manifestato Marco dice che non si tratta di indagare sui giorni o sulle ore perché ogni ora è il momento opportuno per incontrare Gesù. E per dirlo utilizza la parola Kairos che indica il tempo. Non si tratta di cronologia, di chronos, di tempo quantitativo (anni, giorni, mesi, anni) ma di tempo qualitativo e la sua durata è soggettiva, dipende da come quel tempo sarà vissuto e da chi ne sarà protagonista.
Come un uomo in viaggio: Gesù descrive se stesso come un uomo in viaggio. Vengono in mente le prime parole del libro “Racconti di un pellegrino russo” dove l’autore si descrive così: “Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione pellegrino errante di luogo in luogo. I miei beni terreni sono una bisaccia sul dorso con un po’ di pan secco e, nella tasca interna del camiciotto, la Sacra Bibbia. Null’altro”.
Gesù è il pellegrino, il verbo greco indica uscire dal proprio popolo, emigrare. Se ne va via da noi per camminare sulle nostre strade in modo differente e lasciando a noi la custodia della sua Chiesa e il suo stesso potere. Gesù in viaggio verso il Padre, Gesù in viaggio verso un nuovo modo di essere presente tra noi, colui che è in viaggio misteriosamente rimane infatti “con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Gesù viaggia per rimanere, è in viaggio verso il Padre per essere a noi più vicino, in viaggio con la libertà di chi sa che la meta è altrove, in viaggio per precederci e prepararci un posto.
e dato il potere ai suoi schiavi: abbiamo già parlato del potere che Gesù da ai servi ma questo potere è tradotto in greco con exousìa, parola difficilmente traducibile che potrebbe indicare autorità, autorevolezza nelle parole e nei gesti (Mc 1,22: Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi). Perché utilizzare la parola schiavo e non servo? Servo è colui il cui lavoro appartiene ad un altro ma schiavo è colui la cui vita appartiene ad un altro, allora il cristiano può dirsi schiavo di Cristo e non solo servo. Se siamo suoi allora siamo schiavi.
a ciascuno il proprio lavoro: “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,7.) Dio ha dato a ciascuno qualcosa perché ognuno serva il fratello con ciò che ha e sia servito in ciò che non ha e così viviamo nel servizio reciproco.
e ordinò al portinaio di vegliare: Vegliare qui vuol dire selezionare. Il portiere infatti decide chi entra e chi no; distingue tra ciò che è buono e ciò che non lo è. In questo tempo siamo chiamati anche noi a fare un’opera di discernimento e selezione su ciò che decidiamo di far uscire dalla nostra vita e ciò che decidiamo di far entrare. Siamo invitati a metterci all’uscio del nostro cuore e sapere cosa accade lì come afferma papa Francesco. Il Papa ci dice che il nostro cuore a volte è come una strada dove chiunque va e viene: “Pensiamo a questo oggi. Ci farà bene. Primo: cosa succede nel mio cuore? Cosa penso? Cosa sento? Presto attenzione o lascio passare, che tutto vada e venga? Metto alla prova ciò che voglio, ciò che desidero? O prendo tutto? Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, mettete alla prova gli spiriti”. Vegliare allora consiste nell’attuare il potere di Gesù sulla sua casa e nel selezionare, discernere.
I vangeli sono concordi nell’affermare che quando il Signore viene, lui viene di notte. Come mai il vangelo indica sempre la notte come tempo della venuta del Signore? Per incutere terrore?
Sappiamo che nel mondo biblico la notte di veglia richiama la veglia delle veglie, la Pasqua chiamata appunto notte di veglia perenne.
Ma ci sono quattro notti in cui Dio rivela se stesso per i rabbini:
- La notte della creazione
- La notte in cui Dio chiama Abramo
- La notte della liberazione dall’Egitto
- La notte che ancora è da attendere, quella del Messia che verrà.
Il Signore viene nella storia d’Israele in queste quattro notti ma in queste quattro notti viene anche nella vita di ciascuno di noi.
- Nella notte della creazione, quando diamo spazio allo stupore e alla meraviglia per il creato e alziamo la sguardo al Creatore; quando gli eventi drammatici della natura ci ricordano che siamo di passaggio;
- Nella notte di Abramo quando ascoltiamo la chiamata all’interiorità che si manifesta nel bisogno di metterci in viaggio e andare oltre; nell’attenzione alla voce di Dio che scende con la sua Parola nel profondo e ci chiede di lasciare, di abbandonare;
- Nella notte della libertà da tutto ciò che ci schiavizza, che ci fa perdere la vita interiore. La notte della liberazione dove il Signore può venire come sposo o come un ladro dipende da dove si trova il nostro tesoro. Viene come un ladro se il nostro tesoro è altrove e non è in lui, viene a riprendersi ciò che è suo: il nostro cuore. Viene per strapparci ciò che ci lega e ci schiavizza, ma come uno sposo se il nostro cuore è in lui, nostro tesoro.
- La quarta notte, quella del Messia, la notte di cui parla Rm 13,12: “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”. La notte che attendiamo anche noi in questo avvento perché colui che è nato continua ancora a voler nascere nella nostra vita addormentata e stanca. Bisogna che risvegliamo l’udito e la vista, che ci ritagliamo momenti di interiorità per vivere questi giorni con intensità.
La notte coglierà i discepoli nel sonno, all’improvviso.
Ma quel che dico a voi (Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea), lo dico a tutti (Chiesa di ogni tempo): vegliate!
Suor Mara ssc